"La Calabria è la regione meno sviluppata d'Italia. Da molti anni, ormai, essa occupa stabilmente l'ultima posizione nella graduatoria della ricchezza prodotta dalle regioni italiane, connotandosi per una dipendenza economica non più sopportabile". Lo afferma Enzo Bruno, intervenuto all'assemblea di Unindustria. "Le statistiche degli ultimi trent'anni hanno attestato il reddito dei calabresi intorno a poco meno del 50% di quello medio degli abitanti nel Centro-Nord e circa l'80% di quello della popolazione residente nel Sud. Immaginando 100 il reddito pro capite medio degli abitanti nei 15 Stati membri dell'Unione Europea, quello delle sole Regioni Obiettivo 1 si ferma a quota 69 e quello dei calabresi a 59, ossia ad un valore del 40% più basso del reddito medio comunitario e del 10% inferiore a quello medio delle regioni europee "povere".
Se si considerano i due principali impieghi del reddito - gli investimenti e i consumi - si nota, tuttavia, come il declino relativo dello sviluppo regionale sia da attribuire in gran parte al basso tasso di accumulazione di capitale, cioè alla modestia quantitativa e alla scarsa crescita degli investimenti. Al contrario, i consumi evidenziano generalmente un divario molto più contenuto e un trend del tutto simile a quello medio italiano.
Paradossalmente, l'economia calabrese nel suo insieme produce relativamente meno reddito, perde terreno nel processo di accumulazione del capitale, ma riesce a mantenere livelli di consumo comparativamente sostenuti.
L'apparente paradosso di un'economia "povera" dal punto di vista della produzione interna, ma "opulenta" sotto il profilo dei consumi, è spiegato con i trasferimenti monetari statali e comunitari, che di fatto hanno sempre svolto, dal dopoguerra ad oggi, una funzione "sostitutiva" della carenza di reddito prodotto in regione e, contemporaneamente, di sostegno della domanda aggregata locale.
"Questo meccanismo di "dipendenza economica", ha alimentato una patologica subordinazione dell'economia e della società regionale dai flussi finanziari esterni e, dunque, dalle congiunture politico-istituzionali centrali.
L'origine della dipendenza "patologica" dell'economia calabrese è da rintracciare in primo luogo nella debolissima base produttiva. Agricoltura e industria calabresi contribuiscono in misura inferiore a un quarto al reddito complessivamente prodotto in regione. Per di più, il peso di entrambi i settori si è progressivamente ridotto nell'ultimo ventennio, assottigliando ulteriormente la struttura produttiva regionale.
Il ritardo economico e sociale della Calabria, quindi, è pesante e sovente, in crescita sia per le variabili "di rottura" endogene (capacità di esportare, indipendenza economica, accumulazione di capitale e partecipazione al mercato del lavoro) sia per le variabili esogene.
Anche per ciò che riguarda la voce export, l'esiguità del grado di apertura dell'economia regionale è intimamente collegata alla modesta specializzazione nelle produzioni ad elevata crescita della domanda mondiale. La strutturale chiusura della Calabria verso circuiti e spazi di mercato vasti, è testimoniata altresì dalla inconsistenza assoluta della regione ad attrarre investimenti esterni.
LA CALABRIA PER USCIRE DALLA CRISI HA BISOGNO DI FARE SISTEMA. Le dinamiche degli indicatori del mercato del lavoro possono essere modificate solo con il concorso convinto di tutti i soggetti istituzionali e dell'imprenditoria privata che, congiuntamente, devono individuare percorsi virtuosi soprattutto alla luce della riforma delle Autonomie Locali (legge Delrio n. 56/2014) con il completamento urgente da parte della Regione delle competenze e delle nuove funzioni delle Aree Vaste, oltre che con l'accorpamento per fusione dei Comuni Polvere (in Calabria quasi il 70%), che solo tramite questo strumento possono fruire di cospicui contributi finalizzati ad erogare ai cittadini i servizi essenziali".