Cosa ha portato la Pianura Padana a perdere contro il Covid-19? Come è possibile che il 7% dei decessi mondiali si siano verificati in Lombardia?
Un'inchiesta di Elisa Murgese dell’Unità Investigativa di Greenpeace Italia mette in luce le cause ambientali ed economiche che hanno portato all'incredibile disparità di contagi tra Nord e Sud Italia. "La Pianura Padana è la grande sconfitta: lombardi sono la metà dei decessi del Belpaese, se si aggiunge l’Emilia-Romagna si nota come nelle due regioni del nord Italia è avvenuto il 64% delle morti causate dal Coronavirus in Italia. La comunità scientifica ha iniziato ad interrogarsi, e a mettere alcuni indizi nero su bianco. “L’elevato livello di inquinamento in nord Italia dovrebbe essere considerato un co-fattore addizionale dell’alto tasso di mortalità di questa zona”, si legge su uno studio pubblicato su ScienceDirect a fine marzo. Un mese dopo, una ricerca dell’Università di Harvard ribadisce come “un piccolo aumento dell’esposizione a lungo termine al PM2,5” potrebbe portare “a un grande aumento del tasso di mortalità da Covid-19”.
In poche parole entrambi gli studi, in fase di review dalla comunità scientifica, segnalano come le polveri sottili potrebbero peggiorare l’infiammazione causata dal virus. Come a dire che, avendo respirato per una vita intera aria inquinata, lombardi ed emiliani sono partiti svantaggiati. 
Più famose per essere Regioni trainanti dal punto di vista economico che territori delicati dal punto di vista ambientale, Lombardia ed Emilia-Romagna sono aree che possono sopportare uno specifico limite di inquinamento dell’aria oltre il quale la situazione può diventare pericolosa per chi vi abita. Infatti, essendo un territorio chiuso su tre lati da montagne, “la Pianura Padana ha una conformazione che non permette agli inquinanti atmosferici di disperdersi, come invece accade in altre aree d’Italia”, precisa Guido Lanzani di Arpa Lombardia.
Risultato: il livello di smog di Lombardia ed Emilia-Romagna è tra i peggiori in Europa e certamente il peggiore in Italia in termini di particolato. E mentre la comunità scientifica si interroga se l’aria inquinata possa essere un co-fattore della gravità dei casi in Covid-19 in nord Italia, la nostra Unità Investigativa denuncia quali sono i settori che in Italia fanno innalzare l’inquinamento da polveri sottili.
Per fermare il livello di smog, non basterà più bloccare il traffico e definire precisi limiti industriali, dopo avere visto i risultati della nostra analisi fatta in collaborazione con Ispra: per la prima volta, mostriamo una media di quali settori, dal 1990 al 2018, abbiano maggiormente contribuito alla formazione del particolato PM2,5. 
Secondo lo studio, nel 2018 riscaldamento e allevamenti sono i settori più inquinanti (responsabili in totale del 54% del PM2,5 in Italia), seguiti da trasporti stradali (14%) e industria (10%). Analizzando  la serie storica del PM2,5 dal 1990 al 2018, abbiamo inoltre notato  come la percentuale del contributo degli allevamenti non sia mai diminuita, anzi ha continuato a crescere, passando dal 7% al 17%. Nello stesso arco di tempo il settore dei trasporti stradali (veicoli leggeri e trasporto merci), pur continuando a giocare un ruolo significativo nelle emissioni di gas serra (responsabile del 23% dei gas climalteranti) e di NOx (43% del totale), ha ridotto le emissioni di PM2,5 dal 20% al 14%. 
Se a livello nazionale l’allevamento è al secondo posto tra le cause di smog, in Lombardia è ancora più rilevante. Infatti, stando a uno studio di Arpa Lombardia, l’ammoniaca che fuoriesce dagli allevamenti, “concorre mediamente a un terzo del PM della Lombardia, ma durante gli episodi acuti tale contributo aumenta superando il 50% del totale”, precisa Guido Lanzani di Arpa Lombardia. Cruciale, quindi, il ruolo degli allevamenti, responsabili di circa l’85% delle emissioni di ammoniaca in Lombardia. Anche se gli allevamenti intensivi si confermano la seconda causa di polveri sottili, una gran quantità di soldi pubblici continua a foraggiare questo sistema, a cominciare dai sussidi della Politica Agricola Comune (PAC). Stiamo parlando di cifre tra il 18% e il 20% del budjet complessivo dell'UE. Si deve cambiare rotta: un cambiamento che deve avvenire anche nell’ambito della riforma della PAC, per frenare i pesanti impatti che il settore zootecnico ha sulla natura, sul clima e sulla salute pubblica."