Sulla correlazione tra la mortalità per Covid-19 e
l'inquinamento ormai sono in molti a concordare. Una nuova ricerca
sull'argomento è stata riportata sulla rivista New Scientist, che ha
passato in rassegna alcuni studi che hanno come oggetto la presunta
correlazione tra cattiva qualità dell'aria e tasso di mortalità della malattia.
"Abbiamo analizzato i dati raccolti da oltre 120
stazioni di monitoraggio in tutta l'Inghilterra per raccogliere informazioni
sul tasso di infezione e di mortalità del coronavirus in base alla qualitÃ
dell'aria", spiega Marco Travaglio dell'Università di Cambridge.
Il suo team ha analizzato i livelli di biossido di azoto (NO2) e di monossido
di azoto (NO) nelle varie zone, e dallo studio sembra emergere un legame tra i
livelli più elevati di inquinamento e il tasso di infezione e mortalità del
virus.
"Saranno necessari ulteriori studi per confermare questi
dati: dobbiamo cercare di rintracciare la causa della correlazione, più che
un'eventuale prova a riguardo. Ad ogni modo le condizioni di salute che
conseguono all'esposizione prolungata ad ambienti con scarsa qualità dell'aria
sono notevolmente simili a quelle che provocano vulnerabilità al
coronavirus", aggiunge il ricercatore.
Uno studio simile è stato condotto dai ricercatori
dell'Università Martin Luther di Halle-Wittenberg, in Germania, in cui sono
stati mappati i livelli di biossido di azoto in relazione dei decessi da
Covid-19 a livello regionale in Italia, Spagna, Francia e Germania.
"Abbiamo scoperto che un'esposizione prolungata all'inquinamento
atmosferico potrebbe essere un fattore rilevante nell'aumento della mortalità ",
dichiara Yaron Ogen, che ha guidato le ricerche.
Anche il team di Dario Caro dell'Università di
Aarhus in Danimarca ha indagato nello stesso campo. "Gli abitanti
nelle zone più inquinate avevano un livello più elevato di cellule
infiammatorie delle citochine, il che li rende potenzialmente più vulnerabili
al nuovo coronavirus", osserva Caro. "Per ogni microgrammo di
particolato fine le persone potrebbero essere esposte ad un aumento dell'8 per
centi nel tasso di mortalità ", afferma Francesca Dominici,
dell'Università di Harvard. "Il problema principale delle ricerche
condotte finora è che il collegamento tra esposizione all'aria inquinata e
aumento di mortalità potrebbe essere dovuto ad altri fattori, non abbiamo la
certezza di una relazione causa-effetto", precisa Benjamin Barratt,
ricercatore presso il King's College di Londra.
"Dobbiamo ad esempio considerare parametri come la
densità di popolazione, o livelli di traffico, che produce NO. Le zone
considerate più a rischio da questi studi presentano tantissime peculiarità che
vanno considerate. Sostenere che l'inquinamento favorisce la diffusione del
coronavirus con questi dati sarebbe come affermare che il consumo di pollo
fritto nelle città più popolate provoca lo stesso risultato", commenta
Barratt.
"Ci sono studi che tengono conto di altri fattori, come
l'età media e l'etnia della popolazione, o i livelli di particolato, ma si
tratta di stime che analizzano vaste aree geografiche. È troppo presto per
valutare i risultati in maniera significativa", concorda Jonathan
Grigg della Queen Mary University di Londra. "Non abbiamo
ancora una risposta definitiva, per sapere se l'inquinamento può influire nella
diffusione e nella pericolosità del virus saranno necessari i rapporti più
dettagliati. Non è irragionevole ipotizzare che i danni di salute derivanti
dall'esposizione prolungata all'inquinamento atmosferico possano rendere le
persone più vulnerabili, ma non possiamo ancora trarre conclusioni
affrettate", dichiara ancora Barratt.
"Sappiamo con certezza, però, che possiamo e dobbiamo
impegnarci per mantenere pulita la nostra aria. Correlazione o meno, questa non
sarà l'ultima pandemia che affronteremo, e dobbiamo avere la lungimiranza di
proteggere la nostra salute", conclude Stephen Holgate, dell’UniversitÃ
di Southampton.