di Alice Facchini
Festa della mamma. Alessandro Rosina, docente
di demografia della Cattolica di Milano, racconta perchè l’occupazione
femminile è in forte rischio dopo la fine del lockdown. “In una fase in cui la
produzione sta ripartendo mentre i servizi per l’infanzia restano chiusi, le
madri non hanno adeguato supporto e vengono messe di fronte a un bivio: badare
alla famiglia o lavorare?”
“Le madri sono tra le più penalizzate da
questa emergenza sanitaria e l’occupazione femminile è in forte rischio. In una
fase in cui la produzione sta ripartendo mentre i servizi per l’infanzia
restano chiusi, le donne con figli piccoli si trovano a non poter
usufruire di strumenti di conciliazione adeguati e vengono messe di fronte a un
bivio: badare alla famiglia o lavorare?” Alessandro Rosina, docente di
demografia dell’Università Cattolica di Milano, non ha dubbi: anche se oggi, 10
maggio, è la festa della mamma, non c’è molto da festeggiare. Il sottoutilizzo
del capitale umano femminile era già un problema che caratterizzava il contesto
italiano, con tassi di occupazione tra i più bassi d’Europa, ma con la crisi
dovuta al Covid-19 la situazione delle donne che hanno figli rischia anche di
peggiorare.
“Il tasso di occupazione femminile varia molto
tra nord e sud – spiega Rosina –. Eppure, anche nelle aree dove le donne sono
impiegate di più, comunque non arriviamo ai livelli di occupazione medi dei
paesi occidentali. Il problema è strutturale: una delle questioni centrali
in Italia è la carenza di servizi di conciliazione tra famiglia e lavoro, con
poche risorse investite in questa direzione. Questo vale sia per i servizi
pubblici sia per quanto riguarda il welfare aziendale: ad esempio, notiamo uno
scarso utilizzo dei congedi di paternità, o del part time come strumento di
conciliazione. E poi, naturalmente, c’è anche un aspetto culturale, con una
minor collaborazione dei padri italiani nelle mansioni di cura relative alla
famiglia. Il risultato è che in Italia le donne che lavorano rinunciano ad
avere figli, e quelle che hanno figli rinunciano a lavorare: questo fa sì che
il nostro Paese presenti sì livelli molto bassi di occupazione femminile, ma
anche di fecondità”.
Tutti questi aspetti, che erano già preesistenti,
rischiano di essere inaspriti con la crisi nata dalla pandemia. I servizi
per l’infanzia, soprattutto quelli legati al privato sociale, si trovano ora in
grande difficoltà e rischiano di non riaprire neanche dopo la fine
dell’emergenza. E poi c’è il vuoto lasciato dal cosiddetto “welfare informale”,
rappresentato soprattutto dall’aiuto che arrivava dai nonni. Così le donne si
trovano oggi a dover tornare al lavoro senza un supporto adeguato, dovendo
farsi carico della cura dei figli e della famiglia, con una grande difficoltà
di conciliare l’impegno lavorativo con le mansioni domestiche.
“In questa emergenza, l’impressione è stata
che il governo si sia concentrato molto sulle aziende e sulla ripresa
economica, senza tenere presente però che i lavoratori e le lavoratrici sono
anche persone con una famiglia alle spalle – afferma Rosina –. La
categoria più a rischio è rappresentata da chi non ha un contratto da
dipendente, e soprattutto dalle lavoratrici autonome con una piccola attività
in proprio. Per loro l’impatto del lockdown è stato doppio: da un lato le
ripercussioni economiche dovute a un calo degli introiti, dall’altro la
mancanza di strumenti di supporto adeguati per la gestione della famiglia e dei
figli”.
La pandemia, conclude Rosina sarà uno
spartiacque fondamentale, e l’Italia deve capire come utilizzare questa
esperienza. “Le strade sono due: accentueremo i limiti che c’erano prima, o li
supereremo?L’uscita dall’emergenza può, e deve, essere progettata: il Covid-19
non era previsto né prevedibile, ma la ripartenza sì. Ecco allora che la
rivalutazione del ruolo delle donne in questa fase dev’essere qualcosa di cui
il paese non può fare a meno”.
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