Spiagge libere, “terra di tutti” non “di nessuno”: Legambiente tende la mano ai comuni

di Chiara Ludovisi
Il comitato medico scientifico sulle regole per gli arenili suggerisce, tra l'altro, di affidare alle amministrazioni e alle associazioni di volontariato la gestione delle spiagge libere. Intervista a Venneri (Legambiente): “Noi ci siamo e proponiamo numero chiuso, regole chiare e volontari in spiaggia. Conciliare tutela sanitaria e ambientale si può e si deve. E così rilancia il terzo settore”
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ROMA – Conciliare tutela sanitaria e tutela dell'ambiente, assicurando il diritto di tutti a un bene comune quale la spiaggia libera, soprattutto in un momento di crisi economica diffusa. E al tempo stesso rilanciare il ruolo del terzo settore, permettendo alle amministrazioni pubbliche di riprendere possesso di una “terra di tutti” divenuta negli anni “terra di nessuno”. Queste, in sinetesi, sono le motivazioni per cui Legambiente legge positivamente la proposta, suggerito dal comitato medico scientifico sulle regole per gli arenili. Un tema particolarmente “caldo”, con l'estate che bussa alle porte e un intero settore che rischia di collassare. Tra le indicazioni fornite dagli esperti c'è infatti quella di affidare alle amministrazioni e alle associazioni di volontariato la complicata gestione e regolamentazione delle spiagge libere. Una proposta che Legambiente aveva lanciato già un paio di settimane fa e di cui oggi Redattore Sociale chiede conferma al responsabile Territorio e innovazione, Sebastiano Venneri.
Si sta facendo strada l'idea di affidare al volontariato il compito di affiancare le amministrazioni comunali nel regolamentare, organizzare e monitorare l'accesso alle spiagge libere con le nuove necessarie regole. Pensate che sia una proposta accettabile? Perché ritenete importante impegnarvi direttamente in questo compito?
Già alcune settimane fa abbiamo manifestato la nostra disponibilità a supportare un percorso di gestione delle spiagge libere e oggi ribadiamo la nostra disponibilità in questo percorso di riappropriazione di un bene comune come quello delle spiagge pubbliche. Perché? Perché ci siamo resi conto subito che questa vicenda mette i piccoli comuni, che spesso una costa estesa e di pregio, di fronte a una sfida al di là delle loro possibilità. Questo comporta un doppio rischio: il primo è che alcuni comuni gettino la spugna di fronte a un problema più grande di loro. Alcuni potrebbero decidere di chiudere, per non doversi assumere la responsabilità; altri potrebbero decidere di mettere tutto in mano a un privato, magari al concessionario che sta accanto alla spiaggia libera. Insomma, il pubblico potrebbe abdicare a favore del privato: e questo a noi non piace, poiché consideriamo la spiaggia libera un elemento fondamentale. Soprattutto in un periodo in cui le famiglie sono provate economicamente e non solo, devono vedersi garantita la possibilità di andare al mare in modo libero. Riaffermiamo quindi con forza questo diritto alla spiaggia libera e offriamo ai comuni il nostro sostegno in questa sfida, che è per loro anche una grande occasione per riprendere confidenza con un territorio per anni abbandonato.

In che senso?
Il vigile urbano nella spiaggia libera esiste ormai da tempo solo in chiave repressiva: questa è l'occasione perché il pubblico si presenti su questo territorio con il volto di chi ha a cuore e vuole gestire un bene comune. Se fino a ieri le spiagge libere erano considerate terra di nessuno, dobbiamo fare in modo che tornino a essere terra di tutti. Un vero e proprio cambiamento di paradigma e di cultura, che deve rendere ciascuno responsabile delle regole in questo momento necessarie

Non è un'impresa facile: come pensate di realizzarla?
Occorre lavorare molto sull'informazione e sulla condivisione di regole chiare. E' una scommessa ed è un terreno mai frequentato prima, ci stiamo avventurando nell'ignoto. Ci sono una serie di problematiche e di difficoltà, che dovrebbero risolversi con una sorta di 'patto di territorio' tra amministrazione comunale, associazioni del terzo settore e cittadini. Per quanto riguarda gli strumenti concreti, pensiamo alla delimitazione degli spazi, all'utilizzo della prenotazione gratuita tramite app dedicate e al numero chiuso, che peraltro da anni suggeriamo anche come forma di tutela ambientale. E' bene evidenziare infatti che alcuni provvedimenti di tutela sanitaria sono compatibili e complementari con la tutela ambientale: il distanziamento fisico, per esempio, così come la riduzione dell'affollamento nelle spiagge, è un modo per proteggere non solo la nostra salute, ma anche quella dell'ambiente, in contesti delicati come appunto le coste. Per questo, la prima cosa che abbiamo suggerito ai comuni è di stabilire le capacità di carico delle loro spiagge. Noi possiamo affiancare le amministrazioni anche in questo lavoro.

Ci sono però alcuni provvedimenti sanitari che rischiano di avere un forte e negativo impatto ambientale, sopratutto in spiaggia: i dispositivi usa e getta, la ristorazione take-away...
Sì, è vero. Ed è questa un'altra sfida che dobbiamo affrontare e per la quale è importante essere presenti in prima persona sulle spiagge. Dobbiamo insistere per non perdere quel patrimonio di successi che avevamo raggiunto sulla gestione ambientale di questi spazi: primo fra tutti, il cosiddetto “plastic free”. Dobbiamo fare in modo che non si compia un solo passo indietro.

Tecnicamente, come potrà essere organizzata questa presenza e questa sinergia tra amministrazioni locali e terzo settore?
Si può ricorrere a un'attività di convenzione con associazioni di cittadini (dalla pro loco alla protezione civile, da Legambiente al Wwf ecc,). I volontari così, dopo un percorso di formazione dedicato, potranno essere presenti sugli arenili, senza fare multe, ma fornendo informazioni e segnalazioni qualificate al comune affinché intervenga.

Basterà un mese per realizzare quello che avete in mente? E le risorse?
Il tempo è sufficiente, le risorse sono un tema cruciale. E' evidente che, se il governo chiede ai comuni di farsi carico di tutta una serie d misure di questo tipo (regolamentare l'acceso, evitare gli assembramenti ecc.), deve fornire alle amministrazioni risorse umane e finanziarie.

In questo periodo di emergenza e difficoltà, spesso le istituzioni hanno fatto appello al terzo settore, rivolgendo spesso richieste “alte”. Pensaste sia un fatto positivo, oppure un meccanismo di delega inopportuno?
Noi siamo da sempre abituati a dare il nostro contributo in tutte le situazioni, a titolo volontario. Penso anche ai terremoti ai cataclismi: siamo un pezzo della Protezione civile che interviene ogni volta che è necessario. Per no è quindi del tutto naturale attivarci in condizioni di crisi, fa parte dell'attività di volontariato che abbiamo scelto. Anche in questa fase, dunque, ci fa piacere che le istituzioni abbiano preso atto del ruolo che il terzo settore svolge: penso ai medici di Medici senza frontiere o di Emergency, che sono stati n prima linea nel fronteggiare il Covid. La cosa bella è che finalmente si intacca quell'approccio che c'è stato fino a poco tempo fa, per cui 'ong' era diventato un termine negativo. Credo che questa emergenza stia contribuendo a rimuovere quella patina negativa e rappresenti dunque un'occasione per mostrare di nuovo questa parte del paese come una cosa bella, pulita, sana, che crea identità e coesione sociale. È stato bruttissimo vivere quei mesi con quel marchio d'infamia: ora è il momento dell'orgoglio e del rilancio delle attività del terzo settore.

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