“La cultura è un ornamento nella buona sorte ma un rifugio nell’avversa”, diceva Aristotele. Ecco, se è vero che non v’è futuro per un Paese che non investe in formazione e ricerca, oggi, oltre agli innumerevoli tagli alle risorse che le Università pubbliche hanno subito nel corso del tempo, la crisi economica innescata dall’emergenza sanitaria si sta abbattendo sull’anno accademico che sta per iniziare, mettendo a rischio circa diecimila iscrizioni. A dare la notizia di questa scongiurabile ma verosimile previsione è lo SVIMEZ, secondo il quale, replicando lo schema che si è manifestato all’indomani della crisi 2008/‘09, quasi il 70% delle sopracitate mancate iscrizioni saranno attribuibili agli studenti del Sud. Un dato che va ad aggregarsi alle circa ventimila unità di iscritti venute meno nell’ultimo quinquennio nelle regioni del Mezzogiorno. La musica è sempre la stessa. A farne le spese sarà la parte più debole del Paese e se il lavoro, quello buono, da queste latitudini assume sempre più i connotati di un privilegio per pochi, sarebbe ancor più intollerabile se le famiglie non fossero più nelle condizioni di poter sostanziare quello che dovrebbe essere un diritto universalmente garantito. Dunque accolgo e sostengo con forza la proposta avanzata dal centro studi SVIMEZ di contrasto agli effetti della crisi attraverso: ⁃ l’estensione della “no-tax area”, attraverso l’incremento di risorse aggiuntive e realmente corrispondenti al fabbisogno territoriale; ⁃ l’istituzione di una borsa di studio statale che copra l’intera retta 2020 nelle Università pubbliche, vincolata al raggiungimento degli obiettivi del piano di studi; ⁃ Investire nelle infrastrutture digitali. Ancora una volta la sfida vera passa dal rilancio del Mezzogiorno e molto dipenderà anche dalla lungimiranza e dall’incisività delle proprie classi dirigenti. È ora che dal piano di rilancio dell’economia si passi al piano dei fatti, nell’interesse generale.
Pasquale Villella, IDM Castrolibero.