IL RECOVERY FUND È UNA SFIDA PER IL FUTURO DEL PAESE. 
 
Come è noto, quella del Recovery Fund, è una manovra dell'Unione Europea atta alla creazione di un fondo per la ripresa, con titoli comuni europei, per finanziare la ripresa di tutti i Paesi più colpiti dalla pandemia, tra cui l'Italia. Tuttavia, secondo quanto trapelato in questi giorni, il Governo italiano sarebbe orientato a ripartire le somme degli aiuti UE per il 66% alle Regioni del Centro-Nord e per il restante 34% a quelle del Centro-Sud, seguendo un principio esclusivamente demografico. Un orientamento, però, in contrasto con i criteri indicati in Europa, che privilegiano soprattutto il reddito pro-capite e il tasso di disoccupazione delle aree oggetto d'intervento, da tempo immemore il tallone d'Achille del Mezzogiorno.
Le preoccupazioni che derivano da questo stato di cose sono immaginabili, con un'evidente sottostima di risorse delle quali necessiterebbe la parte più fragile del Paese. 
Il Recovery Fund è un'opportunità da non sprecare e rispetto alla quale non bisogna attuare sconnessioni con il tema della stabilità del fenomeno di estrazione strutturale di risorse pubbliche da un'area del nostro Paese a favore dell'altra, fenomeno che dura da almeno venti anni e che misura la dimensione quantitativa e qualitativa del problema competitivo italiano. Questo macro fenomeno certificato dai conti pubblici territoriali di anno in anno, ha fatto sì che si sottraessero ogni anno decine di miliardi pubblici da destinare a scuola, sanità, infrastrutture materiali e immateriali di sviluppo nelle Regioni meridionali per alimentare un flusso di trasferimenti impropri alle Regioni del Nord, con tutti i problemi sociali che ne derivano.

L'Italia ha due grossi problemi interconnessi e irrisolti, senza la cui risoluzione tutto il resto vien da sé: 
- Il primo si chiama Spesa Storica e ruolo distorto delle Regioni del Nord. 
- Il secondo riguarda politiche di sviluppo che ignorano il Mezzogiorno e non prendono in considerazione la crisi di un Nord ormai in stagnazione. 
La risoluzione di questi problemi sarebbe alla portata di mano se non continuassero a prevalere gli egoismi e i particolarismi di una classe dirigente miope. Per quanto riguarda il secondo problema, basterebbe dare un'occhiata ai rapporti SVIMEZ degli ultimi anni per rendersi conto di quanto in recessione sia il Sud e in decrescita il Nord; per quanto riguarda il primo, basterebbe che lo Stato (non le Regioni) analizzasse la spesa storica media nazionale di lungo periodo, togliendo risorse a chi ne ha di più e destinandole a chi ha di meno, attuando finalmente la parificazione dei diritti di cittadinanza sancita dalla Costituzione.
Per scongiurare conflitti sociali e l'aumento della forbice tra i cittadini diventati ricchi con i soldi degli altri, bisogna capire che il nostro è un Paese che mai quanto oggi ha bisogno del Sud. E se è vero che uno dei principi guida del Recovery Fund è il riequilibrio territoriale, c'è da guardare con intelligenza e fiducia a questo strumento di finanziamento nella misura in cui le risorse dovranno servire, oltre che per aiutare le aree più colpite dalla pandemia, anche ad una perequazione reale interna alle nazioni perché è da qui che passa la sfida del nostro rilancio economico almeno dei prossimi dieci anni. 

Occorre superare i gap infrastrutturali, per i quali l'Ue ha già richiamato più volte il Governo. Il partito unico del Nord è già in azione: Lombardia, Veneto, Piemonte sono già sul piede di guerra, pronte ad accaparrarsi la fetta più grande in virtù di una maggiore efficienza del tessuto produttivo, perché è più grave se si ammala un lavoratore del Nord che del Sud, parafrasando (ma volutamente non menzionando) un esponente della Lega. La politica calabrese ha il dovere morale di farsi sentire perché il Sud ha una storia millenaria che affonda le sue radici nella civiltà della magna Grecia e si nutre dei grandi filosofi del pensiero greco, manifestando una cultura politico/amministrativa che in diverse occasioni ha dato vita ad esperienze esaltanti. Eppure ancora oggi il Sud non riesce ad agganciarsi alla motrice europea marcando un ritardo di sviluppo allarmante, con intere generazioni bloccate nei meandri della pura disillusione, e di questo tutti devono sentirsi responsabili.
"Ridurre i divari tra cittadini e territori è la priorità nazionale ed europea per riavviare uno sviluppo sostenibile e durevole in Italia" ci ricorda l'Europa, ma neanche ciò basta a risvegliare l'orgoglio d'appartenenza di una classe politica attenta al personale posizionamento piuttosto che alla crescita del Paese. Sarebbe anche una possibilità in più per la politica, per ritornare ad essere credibile e mettere in moto un processo rivolto finalmente al progresso e non più al regresso assoluto, frutto di una degenerazione che predilige lo slogan al ragionamento, l'interesse personale al bene comune.

È tempo di agire, forse per la prima volta nella nostra storia, o almeno dai tempi di De Gasperi, non si parlava tanto di Sud. La crisi ha fatto emergere la necessità di ricostruire l'intero Paese, per la prima volta la parola d'ordine è investire, guardando al Sud, come ribadito in questi giorni da molti governatori. Un'inversione di marcia è possibile e realizzabile solo invertendo anche i parametri e la visione complessiva di un Paese che deve riscoprirsi unito e consapevole di tutte le sue potenzialità. Il confronto con l'Europa prima e con il resto del mondo poi non può avvenire se prima non si scrive la parola fine a certe "questioni", che siano meridionali o settentrionali non fa differenza alcuna. I tempi e la consapevolezza sono cambiati, questa volta o sarà una rivoluzione vera che porti ad un'effettiva risoluzione di ogni divario o l'Italia imploderà su stessa negandosi ogni futuro.
Il Recovery Fund dovrà essere la chiave di volta, il rispetto della perequazione, dell'equità, dei livelli essenziali di assistenza, un obbligo civile, morale e costituzionale. Una grande manovra economica che potrà avviare il consolidamento sociale del Paese e una crescita dell'1,5/2% di lungo periodo che da tempo non vediamo più. 
Da questa situazione di impasse oggettiva si esce solo con il coraggio della politica. Servono scelte strategiche e modalità attuative rivoluzionarie rispetto al passato, è questo il momento di conciliare la volontà meridionalista, l'unica possibilità che ha l'Italia di salvarsi da oltre venti anni di navigazione a vista.

Pasquale Villella
Commissario IdM Castrolibero