Soveria Mannelli – “Sebbene l’ospedale fatichi a riconquistare ritmi minimi, quelli ordinari sono un pallido ricordo, stretto nella morsa dell’indisponibilità di personale, sebbene il decreto 90 abbia di fatto sbloccato nella sostanza le attività diagnostiche, le stesse restano imbrigliate dai protocolli Covid sulla sanificazione, alcuni avamposti addirittura imprescindibili, che sono il nerbo pulsante, restano al palo: le attività ambulatoriali della Cardiologia e della Pediatria sono indisponibili, per problemi di medici e personale. L’ospedale, il resto, in sé funziona in forma “separata” tra territorio e azienda entrambi dislocati nella struttura, che di fatto coniugano un riferimento univoco per i pazienti del comprensorio. Ed entrambi i servizi sono soggetti tout court a poter fare dalle quattro alle cinque prestazioni ambulatoriali per turno, il resto del tempo lo assorbono i protocolli per la sanificazione. Nella sostanza, un ambulatorio che in tempi ante-covid, riusciva ad evadere anche 15/18 prestazioni, oggi nella massima disponibilità ne fa 5.  Il territorio è alle corde, mercoledì scorso a mezzogiorno, gli accessi totali alla struttura sono stati di 35 utenze. Un disastro vero e proprio, se si pensa che in periodi non pandemici, gli accessi totali giornalieri potevano superare le duecento presenze, a volte superandole di molto. Da una parte c’è da imputare tali defezioni alla paura del contagio in sé, dall’altra la restrizione dei protocolli. Lo si evince anche dagli accesi al pronto soccorso, che normalmente si attestavano a circa 30 accessi al giorno, oggi ridotti a circa 8/9, in alcuni casi di meno. Resiste come lo stato autoritario di Vichy contro la Wechrmact, il pronto soccorso, seppure vittima dei limiti di supporto diagnostici, stretto anch’esso tra triage covid e convenzionalità operativa. Nell’ultima settimana la presenza dell’anestesista è stata salvifica per pazienti “scompensati” che hanno dovuto essere intubati e trasferiti in elicottero, in uno dei casi era necessario, anzi fondamentale effettuare una radiografia toracica, cosa che non è stata possibile poiché in quel turno il tecnico non era presente in quanto la radiologia era chiusa. Si comprende bene come con soli due tecnici rimasti i miracoli si rimandano ai SS. Cosma e Damiano. Qui si parla di Pronto Soccorso, e ci rivolgiamo dal commissario aziendale, dottoressa Latella, e quello regionale dott. Longo, e anche a Gino Strada, affinché qualcuno ci riceva per darci la possibilità di spiegare, che qui in montagna le cose volgono con una piega molto diversa dalle città che loro abitualmente frequentano. Qui se l’ospedale non funziona, i residenti, molti dei quali ultra ottantenni, devono ripiegare altrove sobbarcandosi ore di macchina, nelle strade di montagna più complicate della regione. Serve il personale, che in sostanza non sarebbe nemmeno numeroso. Il gastroenterologo anche tre giorni a settimana com’era fino a poco tempo fa per un solo turno, un medico in laboratorio, un medico in medicina, un tecnico in cardiologia per il solo turno mattiniero, e quattro infermieri. Oltre che il ritorno della PEDIATRA e lo scriviamo in maiuscolo, altrimenti da qui a fare un presidio attivo davanti l’ospedale non manca molto, viste le centinaia tra telefonate e appelli che riceviamo costantemente. Il racconto appena detto potrebbe essere un copia incolla degli altri tre ospedali montani calabresi e di molti altri”.

(Comitato ProOspedale del Reventino)