È da mesi che esprimo le mie perplessità in merito alla discussione sulla gestione delle risorse che l'Europa metterà a disposizione del nostro Paese attraverso il Recovery Fund.
Ora che i pareri sono al limite dell'unanimità, come se non bastasse, nei giorni scorsi è intervenuto anche il presidente di SVIMEZ (l'Associazione per lo Sviluppo dell'Industria nel Mezzogiorno), Adriano Giannola, esternando perplessità che condivido pienamente. Il Piano nazionale ripresa e resilienza rischia di diventare uno scatolone di progetti senza una chiara linea strategica, soprattutto per il Sud.
Come si fa ancora a non capire che senza ridurre le disuguaglianze, assicurando quindi la coesione sociale, non si va da nessuna parte? Donne, giovani e Sud, come giustamente detto dal Presidente Mattarella, devono essere i punti cardini per il rilancio del sistema Italia. Costruire un sistema logistico produttivo che renda finalmente il Sud un polo dell'innovazione, deve essere obiettivo alla portata di classi dirigenti che sappiano guardare di più al futuro e meno alle poltrone.
Investire sui porti per andare oltre la sola vocazione turistica e favorire l'intercettazione di traffici provenienti dalle rotte asiatiche e dunque diventare un vero punto di riferimento nel Mediterraneo, attivare zone economiche speciali in grado di funzionare e rilanciare la produttività collettiva e non di qualche "prenditore" del Nord in stile "Pacchetto Colombo", completare le infrastrutture dell'Alta Velocità, rafforzare i collegamenti orizzontali tra area tirrenica e adriatica, potenziare concretamente le strutture sanitarie (quantomeno quelle esistenti ed aprire i presidi chiusi nelle aree interne e costiere): su questo, e altro ancora, non v'è nulla nel documento del Piano approvato dal Consiglio dei Ministri, con tanti saluti ai diritti di cittadinanza dei calabresi e di tutti i meridionali.
Da queste parti bisogna ripristinare i servizi fondamentali e investire sulle innovazioni ma siamo ancora all'anno zero. La promozione della rigenerazione urbana, gli smart village, le autostrade digitali e la messa in sicurezza dei territori non possono essere temi sacrificati in nome degli egoismi e della miopia di una classe dirigente che ormai parla solo su se stessa e per stelle stessa, trasformando i luoghi deputati al dibattito istituzionali in occasioni di delirio. È innegabile che l'avvento del Covid ha comportato una rivisitazione dei paradigmi di sviluppo fin qui conosciuti e applicati e su cui molti s'interrogano prospettando visioni, architetture di mondi possibili. L'urbanizzazione selvaggia e l'elevata mobilità, che hanno contribuito alla diffusione della pandemia, sono anche caratteristiche dell'ultra capitalismo che oggi è piegato su se stesso e sulle evidenti contraddizioni di porre l'uomo in condizioni subalterne. Temi che si legano allo spopolamento dei piccoli comuni e alla desertificazione delle aree decentrate e periferiche, facendo sì che tale questione non sia più rinviabile in quanto queste rappresentano il 60% del suolo nazionale e sono abitate da circa 10 milioni di cittadini pronti a cercare fortuna altrove. Occorre ripartire, dunque, ridisegnando lo Stivale come un insieme di reali interconnessioni tra medio e piccoli centri, appunto, di limitate dimensioni. Un processo di riconnessione non solo economica ma anche sociale e culturale che passerebbe da una grande stagione di investimenti atti alla restituzione di servizi e ripopolamento delle periferie urbane, delle comunità montane e marine, da troppo tempo relegate all'oblio. La partita da giocare è quindi quella di rendere attraenti queste comunità per i potenziali nuovi residenti, prodotto delle grandi trasformazioni economiche e sociali che impattano non solo sulla nostra economia ma anche sulla qualità e quantità dell'occupazione. Occorre promuovere un rinnovato connubio tra la tutela della tradizione e l'indispensabile apporto delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT) e dell'economia digitale. Connubio che, tuttavia, deve essere valorizzato mediante una strategia integrata di sviluppo locale e non, viceversa, con singoli micro-interventi del tutto incapaci da soli di generare un indotto positivo nell'economia del territorio locale.
L'occasione che il Recovery Fund ci offre è probabilmente irripetibile. O si rimette in moto il Mezzogiorno per spingere l'intera economia del Paese o il Piano nazione ripresa e resilienza rischia di essere un cumulo di progetti con impatti di crescita che potrebbero risultare deludenti.

*segretario federale IdM