Oggi si celebra l'anniversario dell'Unità d'Italia.
Il 17 marzo del 1861 è una data simbolo perché diede avvio a quel graduale processo di unificazione dei territori del nostro Paese, passando per il Regno d'Italia sotto la guida di Vittorio Emanuele II, le due guerre mondiali e giungendo, infine, alla nascita della nostra Costituzione.

Dunque è giusto ricordare ma soprattutto cogliere l'occasione per riflettere. Mazzini esclamò:"L'Italia sarà quel che il Sud sarà." Ebbene, partendo dall'analisi della storia del Mezzogiorno, fino a giungere ai giorni nostri, possiamo affermare che il cammino è ancora lungo affinché non si abbiano più due Italie che viaggiano a velocità differenti. È questa la vera battaglia ancora da vincere, è questa la missione che i nostri predecessori e i padri costituenti ci hanno lasciato in eredità.

È dai tempi del brigantaggio che si parla di questione meridionale. Tuttavia, sia nel quindicennio giolittiano che nel periodo a cavallo tra i due conflitti mondiali, il Mezzogiorno venne utilizzato come territorio dal quale attingere esclusivamente forza lavoro. Dopo la Seconda Guerra Mondiale iniziò un graduale insediamento industriale ed un profondo mutamento infrastrutturale grazie alla grande stagione di investimenti relativi alla nascita della Cassa del Mezzogiorno: tutt'oggi, la più efficace iniziativa intrapresa per lo sviluppo dei nostri territori.
Purtroppo il resto della storia è ormai noto ai più, con il fallimento e la soppressione della Cassa stessa in quanto abbandonata dallo Stato agli appetiti del corporativismo e del malaffare (che Pasquale Saraceno definiva "blocco sociale"), ed un ritorno ad un'economia di mercato che ha poi favorito l'assistenzialismo agli investimenti.

Quell'assistenzialismo che ha fatto si che si creasse nello scenario collettivo l'immagine di un Sud parassitario e secondario rispetto ai processi di crescita collettiva, ed un Nord produttivo nonché finestra sull'Europa.
Un falso mito non solo smentito dagli indicatori economici che indicano nel Nord un trend di crescita inferiore rispetto agli altri Paesi europei già da prima dell'avvento della crisi economica del 2008, ma anche dai continui richiami di Bruxelles e della SVIMEZ, secondo le quali non vi può essere un sistema Italia che abbia una dimensione nazionale di industria, sviluppo e coesione, senza un Mezzogiorno che prosperi e diventi finestra sul Mediterraneo, valorizzando finalmente tutte le sue vocazioni territoriali.

Un processo che certamente dovrà passare anche da un profondo mutamento nel modo di fare politica e di concepire il bene comune da parte dei nostri gruppi dirigenti ma in primis da un nuovo modo di concepire il regionalismo da parte dello Stato. Dunque il primo atto politico serio da compiere dovrebbe essere quello di dare la precedenza agli investimenti pubblici sugli incentivi, effettuare una perequazione infrastrutturale e rivedere lo strumento della Spesa Storica che ha dato e continua a dare una visione distorta ed errata degli effettivi fabbisogni territoriali: un scippo costante di risorse a scapito del Sud.

La mia non vuole essere una rivendicazione di nicchia. Dobbiamo tornare ad essere un grande Paese ma per farlo occorre che, a cominciare dal Recovery Fund, si inizi a riaffrontare il tema dello sviluppo del Mezzogiorno come forza trainante per l'economia della nostra nazione.
Occorre creare le condizioni di fondo, attraverso grandi opere pubbliche e l'ammodernamento di quelle già esistenti, per rendere fertile il terreno di una nuova industrializzazione. Autostrade digitali, Alta Velocità, Smart Village, collegamenti con le aree interne e costiere, medicina territoriale ed apertura dei presidi ospedalieri: è questo il futuro.
Ed è dall'impegno meridionalista che può determinarsi una nuova consapevolezza per restituire dignità alla Calabria ed ambire ad un domani migliore.

Pasquale Villella
Commissario IdM Castrolibero.