Tra tutti gli interrogativi che hanno conquistato le menti di filosofi e intellettuali da generazione in generazione, quello sulla felicità rimane il più analizzato, probabilmente il più esplorato e decisamente quello più indefinito. 
La felicità è un attimo e dipende dalla situazione di ogni singola persona, dal suo stato d'animo, dal suo carattere, dalla sua ambizione e dalla sua educazione.
Credo, ad esempio, che una persona ricca, il cui unico scopo della vita sia quello di "accumulare" denaro, non sarà mai felice. Tanti scrittori e poeti (penso a Leopardi) hanno una concezione "negativa" della felicità: vuol dire che ciò che chiamiamo felicità è solo il "superamento" di un dolore precedente. Per un assetato la felicità consiste nel bere un bicchiere di acqua fresca, per una persona stanca consiste nel riposarsi dalla fatica, per uno ammalato è la guarigione senza preoccuparsi di altro. Da qui la consapevolezza che la felicità non è definibile. È un'esperienza di vita e dura poco. La chiamerei una "pausa" nella sofferenza della vita, ma non vorrei incanalarmi in un pessimismo che non mi appartiene e che con costanza tento di mantenere lontano da me.
L'epidemia ci ha resi fragili e infelici ed ha messo a nudo la mancanza di una visione storica che permetta di "relativizzare" l'esperienza che stiamo vivendo e che ci impedisce di comprendere che, nonostante tutto, è anche un'opportunità per prendere coscienza delle nostre fragilità e mettere in crisi la nostra stupida convinzione di essere i padroni del mondo. 
La felicità, potremmo dire, è un diritto, tant'è che in nazioni come l'America la felicità è un diritto sancito dalla Costituzione. Un diritto non solo rivolto ai singoli ma alla collettività nel suo insieme, al fine di alzare il livello di benessere generale. Per garantire ciò, il governo americano si deve impegnare a connettersi in modo empatico nei sentimenti delle persone entrando, così, in contatto con i loro desideri di felicità.
È vero che spesso in politica ciò risulta effimero e demagogico ma i diritti sono una cosa seria e soprattutto sono la risultante delle battaglie dell'uomo. Battaglie che trovano conferma in quello che scriveva Aristotele, ossia che l'uomo tende naturalmente alla felicità ma nessuno te la regala. La felicità deve essere una "tua"conquista. 

Buona domenica, Orlandino.