„Superbia, invidia e avarizia sono le tre faville c'hanno i cuori accesi." 

Con queste parole di Ciacco Dante descrive la triste condizione di Firenze, con il proposito di biasimare il sentimento dilagante dell'invidia, causa di ostilità e rivalità, fonte di contrasti civili e principio della rovina della città.

Riflettendo sui versi di Dante mi vengono in mente i tanti opinionisti che intravedono proprio in questo vizio capitale  una delle cause del sottosviluppo del meridione, scaturigine delle storture e distorsioni della politica calabrese e meridionale in genere.

Ma i versi di Dante ci raccontano, in fondo, che l'invidia, come tutti i vizi capitali, è un sentimento imperituro e democratico, perché riguarda indistintamente uomini e donne di tutti i tempi e non solo calabresi. 
Eppure ciò che connota il peggior vizio sono gli eccessi o gli estremi.

Gli estremi sono sempre viziosi, dice Aristotele. E sono due: uno pecca per eccesso e l'altro per difetto. Un esempio sul coraggio. L'eccesso per difetto  è l'atteggiamento del pusillanime che, di fronte al pericolo, si blocca, paralizzato dalla paura. L'estremo per eccesso è il temerario che agisce trascurando il pericolo, sottovalutando l'ostacolo e, come Icaro, fallisce e muore. Il coraggioso, invece, conosce il pericolo, sente la paura ma la vince, perché affronta il pericolo con la consapevolezza di dovere agire per un bene superiore che surclassa la paura. Da qui la formula latina "in medio stat virtus", che non esprime mediocrità ma il concetto matematico del punto di equilibrio che compone gli estremi. 

I vizi non sono che  tendenze e attitudini profonde e comportamentali dell'animo umano. Si definiscono capitali  (da capo), perché i peccati scaturiscono da queste inclinazioni. I teologi e i filosofi ne hanno classificati sette ma  il primo per severità  è la "superbia" da cui tutti gli altri derivano.
Credo, però, che il più odioso dei vizi sia l'invidia, quella malevola  "tendenza  al godimento delle sventure altrui", spesso accompagnata dal desiderio di vedere gli altri in posizione di debolezza per evitare che la luce altrui ci offuschi. 
È un'alleanza tacita tra i peggiori nei confronti dei migliori si potrebbe anche dire.
Un vizio che nasce dall'orgoglio non può tollerare né  superiori, né rivali. Da qui quel senso di venefica superiorità che porta a svilire e denigrare immotivatamente chi è più dotato di noi. L'invidia si nutre di questo, incita a desiderare il male di coloro nei cui confronti si nutre invidia, che diventano così oggetto di denigrazione, calunnia, censura, biasimo.  L'indivia tende a seminare "divisioni" non solo tra gli estranei ma anche tra i membri di una stessa famiglia, divisioni che possono andare molto avanti e generare inimicizie, fratture profonde, talvolta scandali, attraverso intrighi e cospirazioni sotterranee. L'invidia turba l'animo dell'individuo, che non trova pace alla ricerca incessante di potere per surclassare gli altri. 
Coltivare lo spirito, investire sulla conoscenza di se' e sulla crescita culturale ed intellettuale è l'unica arma a nostra disposizione per evitare queste pericolose inclinazioni e derive dell'animo umano. La ricerca dell'equilibrio deve essere un anelito costante.
Socrate dice che la vita come continua ricerca è l'unica vita degna di essere vissuta.

Buona domenica 
Orlandino Greco IDM