Prosegue la XIII edizione della rassegna teatrale “Ri-Crii. Riscoprire il senso del presente” con il terzo appuntamento ieri al Teatro Umberto di Lamezia Terme. Questa volta a catalizzare l’attenzione del pubblico è stato il giovane attore Tindaro Granata che con il suo “Antropoloaroid” ha offerto uno spaccato della Sicilia degli ultimi settanta anni attraverso il susseguirsi sul palco delle figure che hanno fatto da cornice alla sua vita e che, in un certo senso, ne hanno condizionato le scelte.
Così sul palcoscenico dell’Umberto, Tindaro racconta e si racconta come in un susseguirsi di flash del suo passato, attraverso i bisnonni, i nonni, i genitori, il boss Tino Badalamenti, l’amico d’infanzia nipote di Badalamenti che rivede durante il servizio militare prima che lo stesso ponga fine alla sua vita.
Personaggi che si alternano in una ecletticità di interpretazione dell’attore siciliano che, nel suo dialetto, descrive un modo di pensare, di vivere, di rapportarsi e quasi di rassegnarsi ad un destino al quale, però, Tindaro si ribella. In lui, lentamente ma in modo prorompente, emerge la voglia di riscatto perché non accetta che, come dice suo nonno, “chi nasce ricco, muore ricco e chi nasce povero, muore povero”. Ed è a questo che Tindaro reagisce perché alla ricerca della bellezza ed alla realizzazione del suo sogno: lui vuole fare l’attore e vuole andare nel Continente, a Roma, quasi a riscattare la sua terra che ha tradizioni antiche che racchiude al suo interno come il suo essere stata colonia della Magna Graecia di cui, ancora oggi, come la vicina Calabria, conserva testimonianze anche nel linguaggio.
Ecco perché definire Antropolaroid non è semplice: ad oggi non c’è nulla di paragonabile al lavoro originalissimo di Granata. Forse dovremmo chiamare in causa Charlie Chaplin, ma anche il teatro dei racconti e della terra sicula o semplicemente un lavoro sull’immaginazione, la musica, la memoria. Antropolaroid, spettacolo di cupa bellezza, struggente, attraversato da un’inquietudine dolorosa, dove a tratti si coglie ugualmente, amaramente, l’occasione di ridere, per la caratterizzazione dei personaggi, il loro susseguirsi sulla scena, per l’abilità stessa dell’attore nel trasformarsi.