E’ scattata “Turpe Lucrum”, un'importante operazione del gruppo della Guardia di Finanza di Lamezia Terme che ha portato al sequestro di beni per circa undici milioni di euro all'imprenditore Giluliano Caruso. Il provvedimento è stato emesso dal Gip del Tribunale di Lamezia, su richiesta della Procura della Repubblica, sulla base delle informative del gruppo della Guardia di Finanza di Lamezia. La misura patrimoniale è stata attuata nei confronti dell’imprenditore lametino dopo quanto emerso dalle indagini della Fiamme Gialle, insospettite per "la notevole e rapida ascesa economica e finanziaria, dell’elevato tenore di vita mantenuto e perché le recenti acquisizioni immobiliari effettuate dall’uomo non trovavano riscontro adeguato nella redditività lecita dichiarata negli ultimi quindici anni".Nel corso della conferenza stampa di presentazione del provvedimento, il procuratore di Lamezia, Prestinenzi, il colonnello Bianco della Guardia di Finanza ed il colonnello Rametta, comandante provinciale della Guardia di Finanza, hanno illustrato nei dettagli l’operazione nata dalla sproporzione tra i beni accertati e quelli dichiarati dall’imprenditore lametino. Le indagini sono scaturite dalle dichiarazioni di altre persone che hanno portato ad acclarare “elementi – ha dichiarato il procuratore Prestinenzi - di sproporzione abnormi tra i beni dichiarati e quelli accertati”. Prestinenzi ha spiegato che l’attività d’indagine è stata divisa in due periodi: dal 1992 al 1996 (Caruso ha dichiarato redditi per 19 mila euro), una “somma che è sinonimo di indigenza” ha commentato Prestinenzi. Poi dal 1997 al 2013 Caruso ha dichiarato poco più di 550 mila euro in 17 anni. “Una cifra sufficiente solo a vivere in modo soddisfacente” ha aggiunto il procuratore. Le indagini hanno riguardato anche altre persone a lui legate, come la prima moglie, l’attuale moglie, il padre dell’indagato e la madre; inoltre sono stati anche attenzionati i suoceri. In particolare, è stato reso noto nel corso della conferenza stampa, che è stata accertata la “sussistenza delle ipotesi di reato di usura ed esercizio abusivo del credito a danno di 3 vittime, le quali, a fronte di prestiti in denaro erogati dall’indagato, avrebbero corrisposto a quest’ultimo interessi variabili dal 51,58% al 93,31% annuo”. “Un numero, quello delle vittime di usura, che sta tendendo ad aumentare” ha ribadito il colonnello Bianco, che ha aggiunto: “E’ importante la collaborazione in modo che qualcun altro la smetta di dire che questi sono amici”. “Chi viene da noi ci aiuta ad anticipare la scoperta dei reati ma, prima o poi ci arriviamo. Se le vittime collaborano – ha continuato Bianco - hanno anche una serie di vantaggi dallo Stato”.
Il colonnello Rametta, comandante provinciale della GdF, ha ribadito il fatto che la Guardia di Finanza, sotto il coordinamento della Procura, è attenta agli aspetti economico-finanziari sui quali sviluppa le indagini. Il colonello Bianco ha quindi aggiunto ulteriori dettagli: “Si è trattato di un’attività di circa un anno di indagini, 100 i conti correnti analizzati, e molte le perquisizioni a persone a lui vicine per accertare il reato di usura”. Tutto ciò per dimostrare “l’assoluta sproporzione tra quanto dichiarato e quanto invece accertato”. “Le vittime sono tutt’altro che propense a parlare – ha sottolineato il colonnello – ma l’usurario deve essere visto come una persona che ne approfitta non come un amico”. Bianco ha poi aggiunto qualche altro dettaglio sul passato dell’indagato: “Caruso ha avuto 60mila euro per ingiusta detenzione perché fu arrestato per associazione mafiosa”. Bianco ha parlato di una sproporzione pari a “2 milioni e 200 mila euro” e ha rivelato che nell’operazione è stato anche denunciato un prestanome. Dalle indagini, infatti, è emerso che “questa persona ha avviato un’attività commerciale, sopportandone le ingenti spese, in un periodo in cui non poteva avere affatto disponibilità finanziarie tali da poter compiere gli investimenti accertati e che le necessarie provviste, di fatto, erano state fornite dall’indagato principale. Anche i beni fittiziamente intestati al prestanome sono ovviamente rientrati tra quelli per i quali è stato disposto ed eseguito il sequestro”. Infine, il colonnello ha rassicurato sulla continuazione delle attività e dei rapporti contrattuali dei dipendenti che “rimangono in essere. Non vogliamo danneggiare le attività che sono tutt’ora funzionanti