LAMEZIA TERME: "Emergenza Covid 19: dal 4 maggio anche Lamezia affronta la Fase 2 ma coloro che gestiscono la Sanità in Calabria non se ne sono accorti, forse pensano di fare come nella Fase 1 che potremmo intitolare come il famoso libro "Io speriamo che me la cavo".Ce la siamo cavata, pur nel dolore per le vittime, nell'ansia e nella preoccupazione consapevoli delle ataviche carenze croniche di qualità e quantità dei livelli di assistenza (come ha dichiarato anche pubblicamente la presidente Santelli), tra evidenti incongruenze delle direzioni sanitarie e denunce di associazioni e sindacati sulle problematiche emerse nel pieno dell'emergenza, senza dimenticare che l'Asp di Catanzaro è stata sciolta per mafia nel settembre 2019 e tuttora commissariata. Ora possiamo dire che la Fase 1 si è conclusa abbastanza bene con relativi pochi contagi e pochi decessi, ma questo solo grazie al buon Dio e alla responsabilità dei lametini, sicuramente non grazie a chi presiede e coordina il nostro sistema sanitario locale e regionale. «Io speriamo che me la cavo» però non può e non deve essere il motto calabrese della Fase 2. Non possiamo permettercelo perché ci ritroviamo, dopo due mesi di ospedale e strutture chiuse alle terapie non urgenti, con i cittadini più malati e e più bisognosi di cure rinviate a causa del lockdown, aumento di morti per alcune patologie, e con i soliti problemi del nostro sistema sanitario (carenza di personale, reparti chiusi, liste d'attesa lunghissime) nel frattempo spaventosamente aumentati, non solo a Lamezia ma in tutta la regione, con in più l'impossibilità di andare a curarsi fuori. In campo sanitario ai lametini in questi due mesi di emergenza non è stato risparmiato davvero nulla. A parte la gestione dei pazienti Covid alquanto approssimativa e disorganizzata, ampiamente denunciata nelle sedi preposte, ricordiamo i penosi balletti catanzaresi per realizzare un centro Covid regionale (come richiesto dal ministero e come sono stati già realizzati nel resto d'Italia) naturalmente a Catanzaro nella vecchia struttura di villa Bianca (con tanto di riunioni, sopralluoghi e telecamere al seguito) mentre a Lamezia è possibile realizzarlo in poco tempo e con pochi soldi. I responsabili della Sanità calabrese fanno finta di non sapere (anche se gli è stato comunicato in tutti i modi) che un edificio dell'ospedale "Giovanni Paolo II" è dotato di tutti i requisiti richiesti ad un centro Covid per cure intensive e sub intensive: struttura autonoma con la disponibilità di un centinaio di stanze su tre piani e di oltre 6000 mq, laboratori, Pronto Soccorso, eliporto, vicino a stazione e aeroporto internazionale, facilmente raggiungibile da ogni parte della Calabria e dagli altri presidi sanitari. E scusate se è poco. E come non ricordare il maldestro tentativo notturno di portare nell'ospedale di Lamezia i malati della RSA di Chiaravalle quando poche settimane prima avevano deciso per Decreto di non farne struttura Covid e quindi non era adeguatamente attrezzato? C'è voluto l'intervento del sindaco Mascaro per bloccare un'operazione pericolosa e contraria a tutte le indicazioni e ai protocolli del ministero. E come non parlare dell'integrazione, fatta sempre nottetempo, del Pugliese Ciaccio e Mater Domini in unica azienda sanitaria? Il tutto, come sempre, senza tener conto di uno straccio di Piano sanitario in una regione commissariata, in deficit e piano di rientro da 11 anni dove in più vige dal 2019 il Decreto Calabria che affida al governo la gestione della Sanità . Ovviamente Lamezia è stata esclusa da ogni tavolo di discussione ma "A Lamezia ci penseremo dopo", hanno dichiarato come sempre alcuni responsabili della sanità calabrese. Per rimanere nell'attualità , cosa dire poi della questione tamponi, la più importante in questa fase in cui il monitoraggio della malattia è essenziale? Incredibile che attualmente la Regione Calabria invii i tamponi a Napoli perché Catanzaro non riesce a lavorarli tutti in tempo utile mentre a Lamezia ci sono invece le costosissime attrezzature (di cui ancora viene pagato il leasing) utili a dare risposte per almeno cento tamponi al giorno, attrezzature ferme nel reparto di microbiologia chiuso da anni, riconosciuto a livello europeo e che serviva l'intera regione per la cura di acune malattie come la TBC. Eppure è stato chiesto a gran voce, da quando è iniziata l'emergenza Covid 19, di riaprire Microbiologia e Malattie infettive per salvare vite e fornire un servizio non solo a Lamezia ma all'intera Calabria. La domanda è sempre: perché tutto questo? Eppure sapevamo tutti che il maledetto virus sarebbe arrivato, c'era il tempo e c'erano anche i soldi per attivare tutte le misure richieste. Cittadinanzattiva aveva già denunciato ciò che ha fatto, o meglio, ciò che non ha fatto la Regione Calabria per l'emergenza Covid 19 nonostante i fondi stanziati dal governo pronti per essere spesi: dalla poca informazione ai cittadini al mancato o scarso incremento dei posti letto, mancata separazione di percorsi e strutture Covid e non Covid, mancato potenziamento delle strutture pubbliche per cura, monitoraggio e screening dei tamponi, lentezza del reclutamento del personale, nessun piano operativo di tutela del personale, mancata o scarsa effettuazione di tamponi a domicilio, pochi decreti e ordinanze dei quali alcuni contestati anche dalle categorie di riferimento e discutibili, come la numero 35 del 24 aprile che prevede la ripresa delle prestazioni specialistiche ambulatoriali presso le strutture private accreditate e non in quelle pubbliche. Ci chiediamo a questo punto come la Regione intende affrontare la Fase 2 e ottemperare alle regole e ai criteri fissati dal Ministero secondo i quali «l'allentamento del lockdown e dalla loro progressiva estensione, può aver luogo solo ove sia assicurato uno stretto monitoraggio dell'andamento della trasmissione del virus sul territorio nazionale. Altri presupposti sono il grado di preparazione e tenuta del sistema sanitario, per assicurare l'identificazione e gestione dei contatti, il monitoraggio dei quarantenati, una adeguata e tempestiva esecuzione dei tamponi per l'accertamento diagnostico dei casi, il raccordo tra assistenza primaria e quella in regime di ricovero, nonché la costante e tempestiva alimentazione dei flussi informativi necessari, da realizzarsi attraverso l'inserimento dei dati nei sistemi informativi routinari o realizzati ad hoc per l'emergenza in corso». Come sarà valutato «il grado preparazione e di tenuta del sistema sanitario della Calabria»? Sappiamo che in Fase 1 la Regione aveva annunciato, come richiesto dal governo, l'aumento dei posti letto in terapia intensiva ma non sappiamo come e cosa hanno fatto. Ora in fase 2, in previsione di nuovi contagi della possibile ripresa di focolai, è richiesta la diminuizione di tali posti letto che comunque dovranno essere di numero lo 0,15 per cento ogni 1000 abitanti. Ma quando la Regione si deciderà a programmare la Sanità e a dare i numeri giusti come in qualsiasi altro posto d'Italia? E «l'adeguata e tempestiva esecuzione dei tamponi?» Perché non si riapre Microbiologia a Lamezia e altri reparti simili in altre zone della ragione? E del raccordo «tra assistenza primaria e quella in regime di ricovero» che ne sarà se la medicina di territorio è abbandonata a se stessa nonostante il recente accordo Stato-Regioni e i Piani di potenziamento Lea che prevedono gli ospedali di comunità e lo stretto raccordo tra medici di base e strutture? La Calabria aspetta risposte non solo per questo tempo di Covid ma da anni, troppi anni. Che qualcuno ce le fornisca, assumendosi le responsabilità che competono ad ognuno, senza proclami e passerelle inutili". Lo afferma una nota di Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato Lamezia Terme.