Franco Lorenzoni, maestro
e pedagogista, lancia alcune proposte; “Riformare la scuola, ma recuperando il
corpo a corpo e allargando lo spazio educativo; dedicare il decennio alla
relazione di cura. E investire su tutte le agenzie del territorio e il terzo
settore, per contrastare la dispersione”
ROMA – La scuola a
distanza è “non scuola”, è fonte di discriminazione. “Abbiamo fatto un passo
indietro di 50 anni, ora dobbiamo tornare alla scuola come corpo a corpo”. Così
Franco Lorenzoni, maestro e pedagogista, fondatore della Casa-laboratorio
Cenci, offre le sue riflessioni e proposte, all'inizio di questa Fase 2 della
pandemia. “Questo tempo di clausura forzata dentro le case ha dimostrato quanto
le case sono fonte di discriminazione, di disparità. Per questo è così
importante la scuola. L'esperienza di confinamento forzato ha aumentato a
dismisura le discriminazioni, abbiamo fatto passi indietro impressionanti, come
se la scuola fosse tornata a 50 anni fa, prima della scuola media unica del
'62, prima dell'inserimento dei ragazzi disabili nel '77 – ricorda Lorenzoni -
Dobbiamo ribaltare tutto questo: la scuola è corpo a corpo e in questo corpo a
corpo si costruisce la conoscenza nella comunità. Senza comunità non c'è
scuola”.
Di qui il monito, chiaro
e netto: “La scuola a distanza è non scuola: lo dico per tutti quelli che
vagheggiano la possibilità di fare scuola a distanza per lungo tempo. Non è
così: dobbiamo fare tutti gli sforzi possibili, con cambiamenti anche radicali,
pensando nuovi spazi dell'educare (parchi, giardini, città, terrazzi) fin dalla
prossima estete, perché si può e si deve imparare ovunque. Potrebbe essere una
bella sfida ripensare la scuola proprio adesso”, osserva Lorenzoni. “Abbiamo
rovesciato sui nostri figli e nipoti un debito pubblico di dimensioni
spaventose, quindi dobbiamo fare qualcosa perché la loro istruzione sia la
migliore possibile”. Occorre allora “finanziare più e meglio la scuola, ma
anche tutte le strutture e le agenzie del terzo settore che, a livello sociale
e territoriale, lavorano per l'educazione. Sappiamo che la dispersione
scolastica si batte solo con arricchimento culturale dei territori”.
La giornata del gioco
Il pedagogista suggerisce
poi di “dedicare il decennio alla cura: cura delle relazioni, dei territori,
del pianeta, ora che ci siamo accorti di quanto male gli facciamo. E
dedichiamolo anche alla generazione di Greta, che si è accorta di come le
generazioni precedenti abbiano condotto il pianeta al disastro. Dobbiamo stare
molto attenti: non si tratta solo di ripartire – ammonisce Lorenzoni – ma di
ripartire costruendo una nuova strada. E' molto più impegnativo, questo,
richiede immaginazione, intelligenza critica, capacità di innovare anche nei
nostri comportamenti quotidiani”.
Infine, c'è una proposta
che è anche “un piccolo sogno: che le città, dopo essere state vuote e deserte
per due mesi, si ripopolino simbolicamente con il gioco dei bambini; che a loro
sia concesso almeno un giorno a settimana, da dedicare al loro incontrarsi, in
una sorta di gigantesca caccia al tesoro in cui ci si ritrova dopo essersi
visti, per troppo tempo, solo attraverso lo schermo. Ascoltare i bambini è il
primo momento per reimmaginare la città: se non la sappiamo immaginare, è
impossibile che la costruiremo diversa”.
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