Dita spezzate e vernice gettata addosso. Aggredita la giornalista che rivelò le persecuzioni Lgbt in Cecenia, il caso della reporter Elena Milashina fa il giro del mondo

Elena Milashina, reporter della testata di Novaja Gazeta, è finita pochi giorni fa in ospedale con un trauma cranico, la testa rasata, orrendamente dipinta con vernice verde e le dita delle mani fratturate. Chiari segnali di un'esecuzione e di un messaggio. Prima rapita e poi barbaramente aggredita insieme con l'avvocato Alexander Nemov mentre era in viaggio verso Grozny.

La reporter ha raccontato che i rapitori si sono accostati al taxi e, dopo aver scaraventato giù il proprietario della vettura, ne hanno preso possesso. Una volta fatti scendere i due passeggeri, hanno legato loro le mani e puntato contro una pistola alla testa. Successivamente Elena e Alexader sono stati picchiati con manganelli e calci. I loro telefoni sono stati sequestrati dai rapitori, che li hanno lasciati a terra privi di forze. I documenti e le attrezzature che avevano con loro sono state distrutte. Si stavano recando a Grozny perché volevano seguire il processo contro Zarema Musayeva, che oggi è stata condannata a 5 anni e mezzo di reclusione, ufficialmente per frode e per aver aggredito un agente di polizia. Si tratta a tutti gli effetti di una sentenza politica. La donna è moglie di Saidi Yangulbaev, un ex giudice della Corte Suprema della Cecenia, madre di Abubakar Yangulbaev, attivista per i diritti umani, e Ibragim Yangulbaev, che si ritiene cofondatore del movimento di opposizione Adat.

Milashina è molto nota nell'ambiente del giornalismo investigativo russo, soprattutto per le sue indagini sui crimini commessi dal regime di Kadyrov; si batte per un giornalismo indipendente quello che il regime di Putin reprime in maniera sempre più sistematica. Negli ultimi anni, la Cecenia è tornata alla ribalta delle cronache per la brutalità con cui colpisce tutto ciò che non è gradito al presidente e, le inchieste della Milashina, alcune delle precedente avviate da Anna Politkovsaja, reporter uccisa a Mosca il 7 ottobre 2006, sono motivo di non gradimento.

Il caso di Elena fa riflettere e non poco sulla questione del giornalismo libero in Russia che non esiste più, è distrutto, è calpestato; esiste solo la propaganda; questa l'affermazione dei reporter di Novaja Gazeta. Si muore se dici la verità, tante le restrizioni, le costrizioni nell'utilizzo di alcune parole o espressioni.

Si potrebbe in verità urlare: Censura. Sempre meno i dissidenti, sempre più schiacciata la libertà di informazione. Il caso Milashina potremmo supporre "non sia un caso".

Luglio, 05 2023

Manuela Molinaro

Redazione Centro Calabria News

 

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