Noi esseri umani siamo le nostre storie e le storie, hanno bisogno di essere raccontate. Questo potrebbe essere il cuore del nuovo libro della giornalista siciliana Katya Maugeri per Villaggio Maori "Tutte le cose che ho perso. Storie di donne dietro le sbarre" che arriva dopo il suo "Liberaci dai nostri mali" sempre dedicato allo stato delle carceri italiane.

Per la prima volta,  un volume interamente dedicato alla lettura di genere del fenomeno carcerario, con un focus sulla detenzione al femminile e con un approccio nuovo: le storie  autobiografiche, ciascuna scandita dal numero di cella, raccontate in prima persona e quindi soggetto della ricerca sociale portata avanti con determinazione dalla Maugeri, direttore responsabile SiciliaNetwork.info.

Storie di sconfitta e solitudine, di decisioni sbagliate o, peggio, dell'incapacità di prenderne, errori, coinvolgimenti oltre la ragione; storie come acque pericolose, in cui le protagoniste sanno di dover reagire, di dover nuotare verso la riva eppure restano semplicemente a galla e continuano a lasciarsi trasportare. Testimonianze forti, suggestive che toccano una parte nascosta, intima mai venuta fuori, un vero e proprio grido di denuncia che ha necessità di essere accolto. Un fenomeno per certi versi sottaciuto, che ha creato emarginazione, discriminazione, spesso ha obbligato a stare zitte, e si, parlare di silenzio sarebbe un modo troppo elegante. Il giornalismo della Maugeri, di inchiesta sociale, ha voluto con queste pagine andare a capire cosa  nella detenzione femminile ci sia di sommerso, cosa è che non vede la luce, in mezzo a rabbia, desiderio di riscatto, al gusto amaro della sconfitta. Si può parlare di un percorso introspettivo che viene offerto al lettore, perché in quelle celle si sopravvive.

 Le voci narranti sono sette, l'inferno che vivono è il carcere di Rebibbia e visto dalla loro prospettiva, tanti sono i sentimenti contrastanti con cui hanno a che fare quotidianamente, tanti i temi sensibili che si vanno a toccare, come il suicidio. Un libro, che si fregia della prefazione del Magistrato Francesco Maisto Garante dei detenuti del Comune di Milano, della postfazione della Sociologa Eleonora de Nardis, del prezioso contributo di Sandro Libianchi Presidente del Coordinamento nazionale Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane (Co.N.O.S.C.I.) e del contributo della Dott.ssa Maria Esposito, Psicologa esperta in psicologia dell'emergenza e Psicotraumatologia quest'ultima in una nostra precedente intervista, ha sottolineato, quanto la detenzione femminile sia un argomento estremamente delicato e complesso maggiormente quando una donna non è solo una condannata ma, è anche madre. Ha inoltre aggiunto un plauso alla giornalista, spiegando con quanta umanità sia riuscita a trattare il tema, elemento fondamentale per aiutare la riflessione della collettività, concludendo con un "a presto una presentazione in Calabria. Bisogna diffondere e creare una rete sul tema".

"Il peggior rumore che si possa sentire in carcere è quello delle chiavi. Di ottone, pesanti, che tutte le mattine alle cinque e mezza e la sera alle otto senti girare per tre volte: l'ho sentito per troppo tempo. Resta l'eco in fondo al cuore e la tua testa sembra non voler più accettare nessun suono che solo possa assomigliarli".

Questo è un estratto dal testo. Così queste storie che parlano del passato ma sono spalancate sul futuro, vanno oltre le semplici parole.



Giugno, 19 2023

Manuela Molinaro

Redazione Centro Calabria News