REGGIO CALABRIA – 26 MAGGIO 2020. Intervento del
consigliere regionale del Partito democratico, Libero
Notarangelo:
Ora che il peggio sembra alle spalle – almeno così ci
auguriamo -
possiamo essere sinceri tra di noi. Ce lo siamo chiesti tante
volte, tutti, nel
silenzio delle nostre case nel rifugio obbligato della
quarantena: ma se il
primo focolaio del Coronavirus in Italia fosse stato in
Calabria, se fosse
esploso a queste latitudini, come sarebbe finita? La risposta
l’abbiamo sentita
ripetere decine di volte: male, molto male. E il pericolo, lo
sappiamo bene, è
tutt’altro che passato. Che il sistema sanitario calabrese è
messo male non ce
lo racconta la propaganda politica, né il destino cinico e
baro. Decine di
ricerche, analisi, graduatorie – da ultimo quella di
Demoskopika – parlano
del peggiore sistema sanitario d’Italia. Questo eccellente
risultato è il frutto di
un combinato di negatività che hanno come comune denominatore
la parola
“tagli”: ai fondi, al personale, alla credibilità di un
apparato di vertice che
troppo spesso viene affiancato alla clientela politica
piuttosto che alla
professionalità ed al merito, all’eccellente preparazione e
formazione.
E prima di andare avanti in questa veloce disamina,
soffermiamoci prima di
tutto su questo concetto. Ogni anno si registrano percentuali
altissime di
mobilità passiva e i calabresi scelgono di affidarsi alla
sanità del Nord anche
solo per un’unghia incarnita a causa di quelle classifiche
che raccontano di
una sanità al collasso, la sanità degli ospedali fatiscenti e
delle siringhe pagate
a peso d’oro. Ma proprio il coronavirus, paradossalmente, ci
ha ricordato che
si sono formati in Calabria, nella facoltà di Medicina e
Chirurgia di Catanzaro,
medici di una preparazione e di una bravura straordinaria,
che nulla hanno da
invidiare agli Atenei del Nord civilizzato. Luigi
Camporotaha studiato per
esempio, lo pneumologo a cui è stato affidato il primo
ministro inglese affetto
da coronavirus e che vive da anni nella metropoli britannica
dopo aver
lasciato la sua città ha studiato a Catanzaro, sua citta
natale. Cosi come
tantissimi altri professionisti in Italia ed all’estero come
Rosario Canino,
calabrese originario di Taverna, ed è il direttore
sanitario dell'ospedale
Cremona, come il dottor Raffaele Bruno, Direttore Malattie
Infettive
Policlinico San Matteo di Pavia che il presidente Santelli ha
voluto nella sua
task force per l’emergenza sanitaria.
TAGLI&SPRECHI I tagli al personale per migliaia
di unità hanno ucciso la
sanità . Da tre mesi a questa parte insistiamo a chiamarli
“eroi”, ma i medici,
gli infermieri gli OSS sono professionisti costretti a turni
massacranti con
stipendi non adeguati, spesso precari con la mannaia del
mancato rinnovo del
contratto, vittime della stessa politica che oggi li osanna
in
televisione. Secondo il “Rapporto Sanità 2019” del
Centro studi Nebo, a livello
nazionale la forza lavoro ospedaliera dal 2010 fino al 2017
ha subito un taglio
al personale in media del 6,6%. Si va però dal 2.7% della
Lombardia e lo 0.9%
del Veneto, al 9% di regioni come Puglia e Sicilia. In
Calabria lo studio parla
di 3800 dipendenti in meno dal 2010 al 2017. Nello specifico
si va da tagli per
il 15% del personale medico al 13% di quello infermieristico.
Passando per il
24% in meno di figure tecnico-professionali. Questo ha
portato a un
impoverimentodell’offerta sanitaria.
Vogliamo parlare dei posti letto? Dal 2000 al 2013, secondo
l’elaborazione del
“Quotidiano Sanità ” sui dati del ministero della Salute, la
Calabria è passata
da 9.915 posti letto a soli 5.874, con un taglio netto (e
tutt’altro che indolore)
del 40,7%. E se in questo modo nel 2013 la Calabria aveva
appena 3 posti letti
ogni 1000 abitanti, nel 2018 sono diminuiti ancora diventando
solo 1,95 ogni
mille abitanti. Un drastico taglio complessivo, dal 2000 al
2018, di circa il
60%. Sei posti letto ogni 10 negli ospedali calabresi. Ma ce
ne ricordiamo
adesso, quando pensavamo alle terapie intensive che sarebbero
potute servire
per salvare vite umane, e non sapevamo dove allestirle.
E volutamente non parlo dello spreco di denaro pubblico
causato dalle
gestioni allegre delle Asp, dei debiti, del sistema di doppi
o tripli pagamenti a
strutture private convenzionate, in poche parole delle
infiltrazioni criminali
nella gestione della sanità pubblica, di quella
disorganizzazione non casuale
pensata per favorire il privato. Mi limito a riportare le
parole del procuratore
Nicola Gratteri che qualche tempo fa, nella
trasmissione “Presa diretta”, ha
spiegato molto bene quella che è la situazione con una acuta
riflessione: “C’è
un disordine organizzato che riguarda soprattutto l’apparato
della pubblica
amministrazione, dove molte volte dentro c’è la ‘ndrangheta.
Non è possibile
che il 75% o più del bilancio della Regione sia destinato
alla sanità , ma questa
poi non funzioni”.
E ancora. Da un recente rapporto Eurispes Italia 2020, emerge
che al Sud la
spesa sanitaria pro – capite è più bassa anche del 50%
rispetto al Nord, dove
maggiori finanziamenti pubblici consentono di garantire
livelli qualitativi dei
servizi più elevati. La ripartizione dei fondi per la sanità ,
ad esempio,
acquisisce maggiore peso in base all’età della popolazione ed
al numero di
anziani, privilegiando le regioni del Nord, a scapito di
territori più poveri,
come il nostro, dove si muore prima e dove vi è un’elevata
percentuale di
malati cronici.Se la Calabria ricevesse una somma
proporzionata al suo
fabbisogno reale, non dovrebbe essere commissariata: un calabrese
vale il
16% in meno di un ligure.
Quindi la nostra regione non solo è penalizzata nella
distribuzione delle
risorse nazionali, ma soprattutto si è sempre ritrovata una
mala gestione di
tali risorse. E non dimentichiamo che nel 2019 la mobilitÃ
passiva vale il 10
per cento del fondo sanitario regionale.
L’emergenza sanitaria da coronavirus ci ha ricordato che
investire nella sanitÃ
pubblica è fondamentale. La riduzione delle spese sanitarie
per far tornare i
conti di bilanci erosi dagli sprechi e dai vantaggi
indirizzati ai privati hanno
ristretto il diritto fondamentale dei cittadini alla salute,
soprattutto in
Calabria.
A proposito della gestione dell’emergenza da Covid 19 in
Calabria, più di
qualche interrogativo ce lo siamo posto in queste settimane
che ci hanno visto
protagonisti della cronaca nazionale e non solo per la
querelle con il Governo
per il valzer delle ordinanze.
VILLA TORANO Ma non è la diatriba sui tavolini finita
davanti al Tar che ci
ha allarmato, quanto la vicenda della RSA di Villa Torano per
esempio.
Parliamo di 78 persone - 42 pazienti e 36 operatori – che
sono state
contagiate e cinque pazienti sono morti in condizioni
sospette;
l’amministratore e il direttore sanitario sono indagati per
omicidio colposo.
Senza entrare nell’albero genealogico dei rapporti tra gli
amministratori della
RSA di Torano e la maggioranza che governa questa Regione,
penso che non
si può negare l’esistenza di un conflitto di interessi in
questa vicenda ancora
non chiara, che in ogni caso dovrebbe indurvi a rivedere a
fondo i rapporti
con la sanità privata.
TAMPONI E vogliamo aprire il capitolo dei
tamponi? Delle oltre diecimila
persone – tante sono quelle che si sono registrate sul
portale della Regione
dai primi di maggio – solo poco più di 5.100 sono state
sottoposte al test dagli
operatori dei laboratori mobili che nei primi giorni
dell’esodo erano stati
dislocati tra stazioni ferroviarie, aeroporto di Lamezia e
autostrada A2.
Quanto a quelli sui quali sono stati eseguiti, molti sono
ancora in attesa del
risultato secondo Filippo Larussa, segretario regionale del
sindacato dei
medici dirigenti Anaao. Difficoltà confermate nei giorni
scorsi dai 1.500
tamponi rimasti nei frigoriferi senza essere analizzati. Dall’inizio
dell’epidemia la Protezione civile ha inviato qui 147.600
tamponi. Ma ne sono
stati effettuati fino ad ora nemmeno la metà : 58.588, in base
all’ultimo
bollettino diramato dalla Regione. Cosa che, secondo l’ultimo
rapporto di
Altems (la scuola di economia e management dei sistemi
sanitari
dell’Università Cattolica di Milano) colloca la Calabria agli
ultimi posti in
Italia per numero di tamponi eseguiti. Quante domande a cui
magari avrebbe
potuto rispondere una certa Task Force creata dalla
presidente Santelli a
supporto dell’Unità di crisi regionale.
SANITA’ PUBBLICA Allora, che “La Repubblica tutela la
salute come
fondamentale diritto dell'individuo e interesse della
collettività , e garantisce
cure gratuite agli indigenti”, non è un insieme di parole
messe a caso per
riempire gli spazi liberi della Costituzione italiana:
l’articolo 32 ci spiega
perché la sanità non può che essere pubblica. E l’importanza
di ritornare ad
investire sulla sanità “pubblica”, ci è stata confermata
proprio in occasione
della pandemia: nei Paesi dove la sanità è privata il
servizio non ha
funzionato, non ha fatto altro che incrementare le
disuguaglianze. La Politica
in questa fase ha il dovere di riprendere in mano la
situazione proprio perché
la sanità è uno dei pilastri fondamentali dell’organizzazione
di una società che
ha il diritto di guardare al futuro con fiducia, con una
prospettiva di
incremento della qualità e della aspettativa di vita. La
Calabria deve poter
contare su una buona sanità , non sugli scongiuri
all’insegna del “io speriamo
che me la cavo”.
La riforma del titolo V della Costituzione (L. Cost. 3 del
2001), il federalismo
che di fatto frammenta il Servizio Sanitario Nazionale in 20
Servizi Sanitari
Regionali, invece di garantire a tutti i cittadini i Livelli
essenziali di assistenza
(LEA) non ha fatto altro che incrementare il solco di una
risposta sanitaria a
due velocità : le regioni del Nord, ricche e capaci di
assicurare servizi di
qualità , contro le regioni del Sud, più povere, in deficit e
con Piani di rientro.
Con territori dove i servizi offerti dalle strutture
ospedaliere trovano il giusto
completamento nella medicina territoriale ed altri, come
quello calabrese,
assolutamente scollegati e disorganizzati. Il
federalismo non ha fatto altro che
inasprire diseguaglianze e disparità territoriali e di censo:
aumenta la
percentuale delle persone che rinunciano alle cure, ma anche
di quelle che
emigrano per curarsi. Riguardo proprio questo punto ed in
particolare sul
trasferimento delle risorse da parte del governo per la
sanità , di certo ha
sempre influito in negativo un’enorme divisione ed una
perenne conflittualitÃ
della politica sia in Calabria che nelle altre regioni
meridionali e tra le regioni
del sud stesse. Mi spiego meglio: possibile che non vi sia
unità nel chiedere a
gran voce e tutti insieme se non il ritiro di ogni progetto
di “autonomia
differenziata” almeno la cancellazione di ogni riferimento
alle parole “spesa
storica” come criterio di riparto delle risorse finanziarie?
E qui, badate bene,
non si tratta di colore politico, bensì di difesa della
salute dei calabresi tutti.
L’emergenza covid ci ha rimarcato al necessità di tornare ad
un servizio
sanitario nazionale capace di redistribuire i servizi ed i
presidi su tutto il
territorio del Paese. Non basta intervenire in emergenza:
serve programmare,
gestire l’ordinario nell’ottica della prevenzione, rifondare
(ma in Calabria in
realtà dovremmo dire “fondare”) il sistema territoriale come
primo baluardo
di difesa non solo contro il Covid 19, riconversione e
riordino dell’intera rete
ospedaliera.
E’ arrivato il momento di scardinare il principio consolidato
nella visione
politica – da destra a sinistra – della sanità usata come
mezzo di costruzione
del consenso, di ospedali “pennacchio” usati come strumento
di pressione e
scambio elettorale. E’ così che sono state sprecate tante
risorse pubbliche:
mantenere posti letto in ospedali sempre più piccoli
piuttosto che favorire la
costruzione di poli qualificati per la medicina territoriale.
Il salto di qualitÃ
nella tutela del diritto alla salute, anzi per un ritorno al
diritto alla salute,
passa per la costruzione di un Piano di rilancio della
medicina del territorio
fatto di strutture vicine ai cittadini capaci di erogare
servizio di primo e
secondo livello superando il blocco della burocrazia e delle
liste d’attesa,
grazie all’operato dei medici di famiglia associati tra di
loro, garantendo la
continuità assistenziale, specialistica, diagnostica di base,
punto prelievi.
Strutture di prossimità , insomma, che prendono in carico i
cittadini, anche
nella cronicità delle patologie, e che diventano punto di
riferimento nei
territori più isolati, diventando il filtro verso gli
ospedali. Non si svuotano in
questo modo i Pronto soccorso? E’ il momento del
coraggio: investendo di più
e con oculatezza su infrastrutture, tecnologie e risorse
umane, ma anche sulla
ricerca e, nel contempo, sulla difesa dell'ambiente,
mettendo da parte le
logiche di parte si rilancia la sanità pubblica e con essa la
speranza di una
Calabria migliore.