In politica ciò che conta più di tutto è il tempo, anzi fare politica significa in molti casi anticipare i tempi, prevedere azioni a lungo e medio raggio, investire e condurre verso il futuro, prevedendo anche momenti di crisi e stati di emergenza. Tutto quello che in pratica è venuto meno in anni di gestione da parte di una politica del momento, del tutto ora e subito, della mancanza totale di programmazione e investimenti. E la pandemia ha messo in evidenza, con ancora più chiarezza, la lentezza della burocrazia e la mancanza di strategia e tempismo della classe politica.
Imprese che chiudono per sempre o riaprono schiacciate dal peso degli usurai, cittadini sull’orlo della fame, piccole aziende del Mezzogiorno prive di risorse tagliate fuori con un colpevole tratto di penna del decreto liquidità, la cassa integrazione che tarda ad arrivare e getta nello sconforto migliaia di lavoratori, le partite Iva che aspettano un misero prestito per ricominciare a sperare, gli alberghi vuoti che aspettando i turisti con il rischio concreto di affossare la stagione imminente e anche quella che arriverà, i negozi che ripartono (uno su tre) fatturano il 20% di prima, musei e teatri aprono i battenti ma i ristoranti restano chiusi o riaprono (solo alcuni) con timore e incertezza.
Quel tempo di cui dicevamo è diventato il nostro peggior nemico perché l’incertezza delle azioni intraprese, la mancanza totale di strategie d’urto, l’indecisione di prendere in considerazioni risoluzioni forti e reali, ha lasciato un vuoto che solo in parte si è riuscito a colmare con l’ultimo Decreto Rilancio, dove si è voluto far passare straordinario quello che invece dovrebbe essere ordinario in un Paese che investe su stesso. Tavoli di lavoro, di concertazione o gli stati generali dell’economia servono in un contesto di normalità e non di emergenza come quello che stiamo vivendo ed è la politica che deve saper disegnare il futuro del proprio Paese non le task force che possono sollecitare ma non dirigere misure e azioni.
C’è, dunque, un filo rosso che tiene unito l’Italia da nord a sud ed è lo stato continuo di emergenze in cui versa ormai da anni e su cui lo spettro del Pil ne gestisce il destino e la pandemia può essere vista come l’ultimo capitolo del grande libro dei propri fallimenti. E lo scenario è sempre lo stesso.
Si è giocato e perso tempo con decreti che hanno trovato la loro ragion d’essere soltanto nel tempo delle conferenze stampa facendo a pugni poi con protocolli e norme quasi improponibili e che ancora incidono sulla tanta agognata “ripartenza”. La burocrazia blocca tutto e non da la possibilità di ripartire a chi è stato messo a terra dal Covid e blocca ogni tipo di investimenti anche quelli (52 miliardi, il 50% al Sud) che sarebbero cantierabili da domani. In una scala di scelte si è data priorità al reddito di cittadinanza e non alla cassa integrazione forzata che lo stesso Governo aveva offerto come aiuto e ancora oggi non pervenuta per molti. Si punta sul welfare, da sempre anello debole ma che ora diventa obbligo morale come se prima non esistesse lo stato sociale, ma semplicemente perché è più facile, richiede meno sforzi e soprattutto meno investimenti. E per il Sud? Nulla è pervenuto, valgono le stesse regole e quindi battaglie che anche in questa occasione si sono dovute combattere, come quella del 34% sui trasferimenti statali o degli investimenti sui fondi europei non spesi e di cui si chiedeva il “dirottamento” verso il Nord. E anche di quel Piano per il Sud rimane solo la presentazione, anche con mascherina, e il miraggio dell’Alta Velocità e delle Zes ed ecco invece che la criminalità organizzata e l’illegalità serrano le righe già pronte ad intervenire come negli anni più bui.
E ultimo in ordine di tempo, il presidente dell’Inps Pasquale Tridico invece di assumersi le responsabilità dei ritardi e dell’inefficienze dell’ente, utilizza parole sprezzanti, scioccanti e inopportune affermando che le aziende non riaprono perché lo Stato copre l’80% della busta paga e per la “pigrizia” degli imprenditori. Quegli stessi imprenditori che hanno dimostrato invece di essere l’ossatura del Paese!
Scenario difficile che apre il sipario alle “scuse” sulla liquidità non arrivata, ai cantieri che potrebbero ripartire e non ripartono e su un Paese da riscattare ma ancora chiuso nella gabbia di una classe politica che utilizza l’emergenza pandemia ed economica per riposizionarsi nello scacchiere di future alleanze, cercando di disegnare nuovi governi e immaginando improbabili maggioranze di unità nazionale giusto solo per soddisfare l’egocentrismo leaderista e non per uscire dalle secche di una crisi senza precedenti.
Il tempo è scaduto e si reclama altro! Non sussidi temporanei ma finanziamenti atti alla ripartenza, sostegno strategico alle imprese esistenti, non azioni tampone, come sempre, ma strategie di ripresa reale, investimenti mirati in grado di proiettare l’intero sistema Italia verso non soltanto l’uscita dalla crisi in atto ma in direzione di un nuovo futuro e dove il Sud pretende soluzioni certe e “fuori questione”! Dare risposte al Paese è un imperativo categorico per non dover dire che in Italia: “Più le cose cambiano, più restano le stesse” e soprattutto prima che la piazza, ancor peggio se colorata di arancione, prenda il sopravvento!
Orlandino Greco
Segretario Federale Italia del Meridione