Piano Colao, mancano un disegno organico e le priorità. "Occasione persa"
Il sociale diventa uno dei sei pilastri per rilanciare il nostro Paese nel dopo pandemia, ma le indicazioni fornite dalla task force guidata da Vittorio Colao non convincono. Tra lacune, idee interessanti e alcune poco originali, c’è il rischio che venga dimenticato presto. Il commento di Chiara Saraceno, Gianfranco Marocchi e Sergio Pasquinelli
ROMA - Non era poi così scontato che il sociale venisse considerato come uno dei sei pilastri per “rilanciare” un paese alle prese con una storica emergenza sanitaria, ma il piano per l'Italia 2020-2022 elaborato dalla task force guidata da Vittorio Colao - almeno per quanto riguarda le tematiche sociali - non è stato accolto con entusiasmo da parte di chi si occupa di welfare da tempo. Per la sociologa Chiara Saraceno mancano idee originali e non vengono indicate priorità, mentre per Sergio Pasquinelli e Gianfranco Marocchi, entrambi vicedirettori di Welforum.it, si fa fatica a trovare un “disegno organico”. Assente ingiustificato, inoltre, la previsione delle risorse necessarie per realizzare quanto scritto nel documento.
Se la mancanza di “idee originali”, come spiega Saraceno, non è da prendere come una vera e propria carenza, ma come un “riconoscimento” del lavoro fatto già in altre sedi sulle tematiche individuate dal piano - “non occorre inventare tutto daccapo”, chiosa Saraceno -, non convince la poca chiarezza del piano in merito alla linea temporale su cui intende realizzare le proprie proposte. “C’è una mescolanza di azioni di lungo periodo e di breve termine - spiega Saraceno -. Fornire supporto psicologico alle famiglie per l’impatto del Covid19, per esempio, non è una strategia di lungo periodo eppure la si trova tra la proposta dei presidi di welfare di prossimità e la sezione dedicata alle organizzazioni di cittadinanza attiva. C’è una confusione di orizzonti temporali e inoltre il supporto psicologico alle famiglie è qualcosa che spetta ai singoli servizi e non riguarda un piano strategico”.
Per Gianfranco Marocchi, tuttavia, bisogna cogliere in partenza almeno un aspetto positivo. E cioè che “dopo mesi in cui o parlavano i virologi o gli economisti, qualcuno si è accorto che quando si pensa allo sviluppo del Paese è necessario farlo anche in chiave sociale. Va riconosciuto inoltre il fatto che nel documento viene citato il terzo settore in vari punti e non solo nella parte welfarista ma anche in quella più imprenditoriale e questo è un ulteriore aspetto positivo. Di queste cose è giusto dare atto”. Terzo settore e welfare diventano così una delle sei gambe su cui rimettere in piedi il Paese, ma sui contenuti del documento e sul metodo con cui è stato redatto non mancano le critiche. Per Pasquinelli, il documento “si articola in proposte disorganiche tra di loro e con delle lacune, in particolare sul tema povertà dove si parla solo di povertà alimentare e non si fa cenno alla ridefinizione del Reddito di cittadinanza. Inoltre, non si parla di immigrazione e si parla relativamente poco di disabilità e non autosufficienza”. Inoltre, aggiunge Pasquinelli, “si fa fatica a trovare un disegno complessivo se non leggendo il documento principale in cui, però, si ripetono cose già note”.
C’è poi un “errore” di metodo, aggiunge Marocchi. “Per ciascuna delle 121 pagine ci sono diverse proposte - spiega -. Non so se qualcuno si prenderà la briga di contarle. Sono centinaia, buttate lì e solo accennate. Non so se è mancato il raccordo con la politica, ma ci sarebbe dovuta essere un’interlocuzione per cui ad un certo punto la politica avrebbe dovuto chiedere di sviluppare una ventina di proposte, suggerirne il costo e come arrivarci”. Anche per Marocchi quindi, il piano Colao sembra un “collage disorganico”. “È un’occasione un po’ persa - aggiunge con un pizzico di amarezza Marocchi -. Fra dieci giorni non ne parlerà più nessuno. Peccato. Forse si poteva fare di meglio. Andavano prese in tutto 20 grandi idee strategiche e sviluppate in un arco temporale, con passaggi annuali o biennali, ma con un orizzonte di trasformazione”.
Un quadro “poco entusiasmante”, sottolinea Pasquinelli, da cui però si salvano alcune cose, come la proposta dei presidi di welfare di prossimità. “C’è tutta una scheda su questo ed è la prima dedicata al welfare - spiega Pasquinelli -. È un obiettivo interessante e si collega a tutta l’esperienza dell’Emilia Romagna sulle case della salute, ovvero luoghi fisici di prossimità sul territorio. Noi, infatti, abbiamo un enorme problema di distanza tra servizio pubblico e i bisogni del territorio, sia sul lato della sanità, sia sul sociale. Questo perché la gente conosce poco le possibilità che ci sono. In Lombardia questo luogo avrebbe dovuto essere incarnato attraverso i Presst, i presidi sociosanitari territoriali, presidi che sono rimasti sulla carta e che non sono mai decollati”. Per Saraceno, invece, uno dei punti forti del piano sul welfare è l’aver proposto una “estensione dell’offerta di nidi raggiungendo in 3 anni il 60% dei bambini eliminando le differenze territoriali tra Centro, Nord e Mezzogiorno”, si legge nelle schede. Tuttavia, sia per Saraceno, che per Marocchi e Pasquinelli, nel documento realizzato dalla task force voluta dal governo Conte, sul welfare manca qualsiasi riferimento alle risorse necessarie e a dove attingerle. “Quelle che vengono fatte in questo rapporto sono quasi tutte previsioni di spesa - conclude Saraceno -, ma non viene detto da dove arriveranno questi soldi e che priorità ci sono. Non è chiaro cosa sia strategicamente più importante”. (ga)
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